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Sardi si diventa, galluresi pure

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articolo e immagini di marcello carlotti – 2015

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Envision Gallura

Premessa

“Da antropologo, vorrei decostruire un mito con una sana provocazione: essere sardo, oggi più che mai, non dipende dall’essere nato in Sardegna da gente che è nata in Sardegna. Dipende piuttosto dall’essere una persona che, nataci o meno, abita l’isola conoscendone la cultura, apprezzandone le peculiarità, le bellezze ed i difetti, e sforzandosi di produrre valore attraverso i suoi valori. Oggi, infatti, essere nati in Sardegna a mio giudizio non è più ragione sufficiente per definirsi a pieno titolo sardi. I veri sardi sono infatti coloro che custodiscono il territorio per chi verrà dopo.”

Storia di una nascente comunità imprenditoriale

Al lordo di quanti che, almeno dai tempi dell’impero romano, si sono colonialisticamente succeduti in Sardegna per sfruttarne le ricchezze e la posizione strategica, in tanti sono andati e vanno via dall’isola perché sentono che non potranno realizzarsi ottenendo riconoscimenti umani e professionali proporzionali al loro talento, ai loro sforzi ed alle loro qualifiche.
A causa di nepotismo e clientelismo, sull’isola infatti la mobilità sociale o il farsi da soli risultano più ardui che altrove, nonostante il paradiso sia ironicamente sempre lì, a portata di vista.
Per queste ragioni, in questi ultimi anni, i sardi hanno ripreso dolorosamente ad emigrare, sebbene a differenza delle vecchie ondate di manovolanza migratoria, stavolta a fare fagotto siano giovani qualificati, magari con alle spalle masters o dottorati, per cercare altrove l’occasione di diventare se stessi.
Alcuni sardi, però, al pari di molti che scelgono di venire a viverci e cercano di svilupparne i potenziali, decidono di tornare per rimettere in gioco sull’isola le competenze che altrove gli sono valse riconoscimenti e successo. Il ritorno ed il reinserimento non sono facili, ed il rischio di fallire e pentirsi è enorme. Tuttavia l’obiettivo vale l’azzardo: trasformare il sogno in realtà, il paradiso perduto in possibilità.
La storia di inveritas incarna tutto ciò. La partenza, la distanza, la formazione, la nostalgia, il rientro, il rischio e l’azzardo con l’obiettivo di raccontare in modo esemplare le eccellenze della Sardegna per aiutarle a conoscersi e farsi conoscere ed organizzare il proprio futuro, scavando nei valori antropologici profondi della cultura, per mostrare non solo come sia possibile creare valore dai valori, ma come oggi, per crescere in modo virtuoso, quella della verità e dei valori rappresenti l’unica strada percorribile.
Per questo, quando Simona Gay mi ha contattato a febbraio, ho ritenuto che la Gallura rappresentasse per inveritas la sfida della maturità, capace com’era di permetterci di raccontare in un modo totalmente inusuale un luogo famoso nel mondo per le spiagge fashion della Costa Smeralda suggerendo al contempo nuove forme di organizzazione budgetaria e manageriale basate sui valori.

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La Gallura è uno dei più dinamici fra i distretti storici che costituiscono il variegato e peculiare tessuto antropico della Sardegna, la quale nonostante sia la seconda isola più grande del Mediterraneo risulta ad oggi una delle zone dotate di minor autoconsapevolezza dell’Europa, priva come è di una vera narrazione autonoma della propria storia capace di rappresentarne la spietata meraviglia. Stando ai meri dati la Sardegna è una regione italiana, vicinissima alla Corsica (i galluresi condividono molti tratti culturali con i corsi), ed all’Africa, separata dalla prima solo dall’inquieto limes delle bocche di Bonifacio e dalla seconda da appena 20 minuti di volo. Ha una popolazione residente di circa 1,6 milioni di abitanti, e conta una emigrazione nel resto del mondo che ammonta a circa 1,5 milioni di sardi. Sul suo suolo sono presenti due università storiche, e le sue donne hanno partorito molte migliaia di combattenti, che si sono contraddistinti nel corso delle due grandi guerre per il coraggio, l’abnegazione e lo spirito di sacrificio.
I sardi amano rappresentarsi come un popolo orgoglioso, accogliente e caparbio ai limiti della testardaggine, con una notevole inclinazione all’animosità vendicativa, al campanilismo ed all’invidia. Un popolo di faticatori in patria, ma di imprenditori all’estero, che ha dato i natali a intellettuali e politici di rilievo nazionale ed internazionale, a due presidenti della Repubblica italiana e ad un premio Nobel.
Tuttavia, la Sardegna è ascesa all’attualità delle cronache mondane solo quando, dai primi anni sessanta, il principe ismaelita Karim Aga Khan acquisì alcune centinaia di ettari nel comune di Arzachena fondando il Consorzio Costa Smeralda, divenuto un vero e proprio brand, ed essendo di fatto il ritrovo degli uomini più ricchi, potenti e influenti del pianeta che, nei piani del principe, dovevano incontrarsi in Sardegna per discutere su come rendere il mondo un posto migliore.
Come sempre accade nella vita, fra il bersaglio e l’approdo del progetto, la freccia è caduta sensibilmente più bassa dell’ambizioso obiettivo. Personalmente ritengo che, per fortuna, la Costa Smeralda non sia mai stata una mela posta sulla testa di chi vive in Sardegna e che la concentrazione di risorse ed attenzioni riversate esclusivamente su quella lingua di insenature, calette, e zone immediatamente prospicienti abbia permesso di mantenere intatto il territorio circostante. Tanto intatto che, in molti casi, è stato abbandonato dai suoi stessi atavici abitanti attratti come falene dalle luci e dai facili guadagni degli alberghi a 5 stelle, attivi essenzialmente nella stagione estiva.
A seconda dei punti di vista, il fatto costituisce un peccato – perché si sarebbe potuta sfruttare l’onda del successo della costa – ma anche una immensa risorsa – sopratutto per chi viene in questo territorio attratto dal suo fascino selvaggio e dalle relazioni che è ancora possibile stringere con la sua natura ed i suoi elementi, che persistono praticamente incontaminati e puri.
Non scoraggi chi legge l’uso del termine selvaggio, che – spogliato delle sue connotazioni evoluzionistiche e riportato al suo quid etimologico – deriva da selva, che ascende al sanscrito e significa “splendere” e “illuminare” ed ha affinità con SVAR che significava “cielo”. La selva, del resto, è uno dei regni della natura, dove nulla muore per davvero, ma tutto si ricicla contribuendo alla fertilità per consentire alla vita di compiere il suo corso.
Se la Costa Smeralda rappresenta il luogo del jet set internazionale, il punto di ritrovo stagionale dei paparazzi, la passarella d’esibizione di starlette, calciatori e politici, la Gallura interna è un mondo a parte, che spesso sembra manifestare il respiro della natura, capace di farsi strada nell’aspra durezza basica del granito, per guardare verso un cielo basso e potente, spesso spazzato dalle raffiche pungenti del maestrale, come testimoniano gli olivi che crescono piegandosi alla sua forza.
È in questo contesto che ha cominciato a prendere forma Envision Gallura, il cui ambizioso scopo è provare a raccontare la verità di un territorio dando voce ad una nascente comunità di operatori che lo amano e lo hanno scelto, venendo scelti a loro volta, e che vorrebbero divenire il fulcro di una serie di nuovi progetti imprenditoriali fondati sui valori culturali.
Per questo è stato realizzato, in una prima fase, un approfondito studio di antropologia visuale, culminato nel manifesto di un racconto corale. Un documentario antropologico, infatti, non è uno spot pubblicitario, né una reclame. Si tratta piuttosto di uno scavo che serve a trarre in luce dei valori profondi e spesso inconsapevoli.
In questo senso e verso una tale direzione, Simona, Patrizia, Filippo, Mauro, Piero, Fabrizio, Luca, Cristian e Alberto hanno deciso di condividere un pezzo di cammino insieme, accompagnati da inveritas, e per questo si sono coraggiosamente esposti davanti all’occhio crudo delle telecamere, sostendo il proprio sguardo senza bisogno di maschere. Come tutto ciò che vale e conta davvero, far ciò comporta uno sforzo: lo sforzo di cominciare a scoprirsi senza filtri, senza falsi pudori o, quel che forse è ancora più arduo, senza ipocrite modestie.

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In un momento in cui la Sardegna si racconta, all’interno ed all’esterno, solo attraverso il suo mare e le sue coste, abbiamo pensato che narrarsi così equivalga a chi, per assaggiare una birra, si limitasse alla sola schiuma. È ovviamente fondamentale anch’essa, ma nessun serio assaggio si fermerebbe lì. Per questo, con Envision Gallura abbiamo pensato che fosse utile mostrare la Gallura in piena estate, tenendo il mare ai margini. Così abbiamo costruito il framework e stabilito le locazioni delle riprese. Ciascuno ha individuato il punto che considerava magico in Gallura e là abbiamo svolto parte delle interviste, durante le quali abbiamo scavato tre argomenti:
1) Cosa è per te la Gallura? Perché sei venuto, tornato o rimasto?
2) Qual è il tuo progetto imprenditoriale nel presente?
3) Quale Gallura vorresti fra trent’anni e come immagini che sarà? Credi che fra la Gallura che vorresti e quella che sarà ci saranno differenze?
Ognuno ha risposto a cuore aperto, con generosità, mostrando con parole e fatti concreti quale sia il potenziale ancora inesplorato (talvolta abbandonato a se stesso) della Gallura: la cultura degli stazzi che potrebbe trovare forme contemporanee di applicazione e reinvenzione, per diventare funzionale ad un turismo capace di attrarre sempre più viaggiatori ed esploratori, quel tipo di turismo, cioè, che viene chiamato esperienziale. Una affluenza più curiosa, più rispettosa, e capace di diffondere la propria permanenza su una stagione molto più lunga. Nel frattempo si rimetterebbero al centro della scena i valori culturali più veri e profondi, quelli che sono cresciuti nel territorio e col territorio, nel lungo scorrere dei secoli, e che avevano nella comunità diffusa, nell’aiuto reciproco (lo sharing che qui, ante litteram, si chiamava manialia) e nell’accoglienza dei cardini forti, in grado di supportare l’esistenza individuale in mezzo ad una natura che non regala mai nulla.
D’altro canto, ciò consentirebbe ai giovani di avere uno stimolo e vivere una sfida diversa, da giocare in casa, valorizzando il proprio territorio e di conseguenza se stessi, cominciando con l’approfondire la propria autocoscienza, rinforzando la stima e la fiducia di se e reciproche, e nutrendo la passione e l’entusiasmo che da sempre caratterizzano quanti, nascendo e vivendo in un territorio, ne diventano progressivamente custodi.
Custodi del territorio, visitatori e viaggiatori sono risultati termini chiave del discorso corale che ha preso forma durante la realizzazione di Envision Gallura. Tuttavia, un vero custode di un territorio non si limita ad accogliere i viaggiatori all’interno del proprio gusto, ma stabilisce con loro uno scambio, una reciprocità dialettica che consente di evolvere progredendo in direzione dell’accoglienza del gusto altrui, confrontandosi, maturando e crescendo di conseguenza.
Gli obiettivi che sono progressivamente emersi sono pertanto legati alla necessità di amare il luogo dove si sceglie di vivere conoscendolo, rispettandolo e ascoltandolo per capire cosa esso offra, e avventurarsi nella sua bellezza per raccontarla e condividerla in armonia, senza snaturarsi né piegarsi a modelli esogeni e che, ad un occhio attento, risultano fallaci ed artificiali. L’amore, di fatto, quando è sano si nutre, vive e si compenetra sempre con la condivisione.
La Gallura allora non ha bisogno di nulla di più, se non di essere se stessa attraverso la felicità di chi la vive, la popola e l’ascolta.
È questo, a mio giudizio, il distillato di 100 ore di riprese: contribuire a preserevare la Gallura esattamente come è ancora oggi, facendo in modo che fra 30 anni i suoi abitanti siano più felici di oggi e meno inclini ad inseguire modelli legati alla fiction ed alla rincorsa di un Paradiso che risulta perennemente altrove.

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In fondo, se la parola Paradiso deriva dal sanscrito e significava “giardino” o “parco”, la parola felicità risale ad una radice greca che riporta a “fecondo” ed il cui significato rimandava a “ciò che possiede quello che veramente appaga i desideri, ovvero qualunque terreno o paese ricco dei doni della terra”.
Sembra il ritratto della Gallura: un giardino che appaga i desideri attraverso la ricchezza dei suoi doni.
Basta saperli ascoltare e riconoscere, facendo seguire alle parole i fatti, alla visione le strategie manageriali capaci di realizzare i progetti e, incarnando i valori e le verità antropologiche emerse, di essere all’altezza di catalizzare altri imprenditori del territorio, stimolando i giovani e motivando gli autoctoni.
Pare allora di poter concludere citando le parole di Antonio Machado:
“Tutto passa e tutto rimane
però il nostro è passare,
passare facendo cammini
cammini sopra il mare.
[…]
Camminando si fa il cammino
e voltando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante non c’è una via
ma scia sul mare…”

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